Letteratura

Ernest Hemingway

Il vecchio, il mare e lo stile

  • 16 giugno 2023, 11:26
  • 14 settembre 2023, 09:02
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Di: Marco Alloni

Il capolavoro che ha portato Ernest Hemingway al Premio Nobel per la Letteratura potrebbe riassumersi così: un vecchio pescatore va al largo e cattura un grosso pesce. Stiamo naturalmente parlando del Vecchio e il mare e stiamo naturalmente azzardando una parodia. Ma è una parodia che porta con sé diverse implicazioni, una delle quali non sarebbe sicuramente dispiaciuta a Hemingway: siamo sicuri che la trama di un romanzo sia davvero rilevante in sé?


Il vecchio e il Nobel: 65 anni dal Premio a Hemingway

RSI Cultura 21.11.2019, 13:00

  • Keystone



Hemingway se lo chiedeva, implicitamente, quando a Cuba stavano girando le riprese del film tratto dal libro, rivendicando che il romanzo fosse prima di tutto “l’opera di uno scrittore”. E rivendicandolo precisamente contro chi – come è spesso nel giornalismo vooyeuristico – voleva cogliere del racconto solo il dato biografico, sociale e autobiografico, riconducendo cioè a tutti i costi la vicenda del vecchio pescatore Santiago a qualcosa di reale. Certo, realistico e autobiografico il libro lo è indubbiamente, ma che questo possa ridurlo alla sua sola trama è davvero un affronto a quanto esso più intimamente – cioè letterariamente – significa.

E che cosa significa, letterariamente, Il vecchio e il mare di Hemingway? Su di esso si è misurata un’intera produzione critica e spesso, non di rado incautamente, anche una sorta di esegesi agiografica. Quindi la pretesa di “aggiungere” qualcosa a questa vasta “ermeneutica hemingwaiana” non ha nessuna ragion d’essere. E tuttavia qualcosa di strettamente letterario – che vada al di là dell’ormai ridondante evocazione di Hemingway come “inventore della paratassi” – si può forse dire. Se non altro per rimarcare, appunto, che quella storia di un vecchio pescatore che va al largo a catturare un grosso pesce è in realtà tutt’altro. O quanto meno va molto al di là – proprio grazie al particolare stile letterario di Hemingway – del semplice exemplum biografico o del suo proverbiale “vitalismo”.

Ciò che in effetti Hemingway ha saputo fare è levare dallo specifico narrativo ogni superfluità. Ma non tanto per ammiccare a quello che poi, in parte rifacendosi a lui, da Carver in avanti, sarebbe diventato il cosiddetto “minimalismo”, bensì perché la sua fu, come alla radice ogni stile è sempre stato, una filosofia della vita. Lo stile non decora in effetti l’esistenza, non la abbellisce, non la colora, non la imbelletta: di questo si occupano il manierismo, il Kitsch e il cattivo gusto spacciato per “bello stile”. Lo stile è mimetico rispetto all’etica narrativa, ovvero alla filosofia esistenziale. Se uno scrittore ha stile, è perché ha uno sguardo estetico ed etico sull’esistenza, perché ha riconosciuto – consapevole o meno della lezione di Kierkegaard – la coincidenza assoluta tra sapere scrivere bene e saper scrivere autenticamente.

Laddove oggi pullula una letteratura “fasulla”, di finto decoro estetico senza ancoramento nel pensiero e nella morale – per intenderci, laddove oggi si scrive prevalentemente “in vetrina”, in dispregio di ogni qualità intrinseca ospitata dietro i vetri della narrazione – Hemingway, soprattutto ne Il vecchio e il mare (ma anche in molti altri suoi romanzi), pretende che un’opera sia nell’intima coincidenza tra linguaggio e contenuto, e ancora di più tra spirito del racconto e forma letteraria.

Così Il vecchio e il mare non è un romanzo breve, semplice, lineare, essenziale, quasi avaro di compiacimento poetico, pour épater o addirittura pour rassurer il pigro popolo del lettorato borghese – che cerca e trova in quel libro, a un tempo, la semplicità e l’esotismo – ma perché Santiago, il protagonista del racconto, incarna un modus vivendi e un modus cogitandi, insomma una “filosofia di vita”, che in tutta evidenza non possono essere rappresentati ed espressi se non per il tramite di quella consapevole e deliberata semplicità, esattezza, essenzialità e linearità.

Santiago non è infatti solo un vecchio, un pescatore, un cubano: egli è il mondo che c’era prima della denaturalizzazione del mondo. Egli non dispone di una barca a motore, non dispone della sofisticazione della tecnica, non dispone dei soldi, del capitale, che il capitalismo ha riversato sulla realtà tramutandola in un rapporto sempre più traslato, indiretto e innaturale con la natura. Egli è nell’immediatezza semplice, essenziale, diretta e senza fronzoli dell’uomo a confronto con le sfide e forze primigenie della vita. Quindi il lessico deve – e magistralmente Hemingway obbedisce a questo imperativo – aderire a questa condizione di “primordialità”: altrimenti pregiudica ogni possibile autenticità e ogni più eloquente “filosofia del realismo”.

E la terminologia del romanzo ne è la prova e la conferma. Nel Vecchio e il mare non si parla di aggetti, di inutilità romantiche, di voli pindarici tra le amenità cromatiche del mare, ma di “scalmi”, di “remi”, di duglie, di “alberi”, di “bozzelli”, della tecnica prima della Tecnica. Si parla, in fondo, da quei recessi dell’innocenza, della primitività a suo modo selvatica, che Hemngway ha sempre cantato in dispregio a ogni pretesa di autenticità della vita inautentica. E questo motiva lo stile, questo genera lo stile e produce lo stile.

Inutile allora parlare di una “innovazione stilistica” come se si trattasse di una trovata estetica. Hemingway ha inaugurato un nuovo modo di fare letteratura perché ha riesumato un vecchio modo di intendere la vita.

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